Santi del 24 Ottobre
*Antonio Maria Claret *Areta e Ruma (Sposi) e 340 & *Ciriaco e Claudiano *Ebregisilo di Colonia *Eximeno de Ayvar *Felice, Adautto e Gennaro *Fromundo di Coutances *Giuseppe Baldo *Giuseppe Le Dang Thi *Guglielmo de Anglesi *Luigi Guanella *Maglorio *Marco, Soterico e Valentina *Maria Tuci *Martino di Vertou *Petronilla e Ponzia *Proclo di Costantinopoli *Senoco *Altri Santi del giorno *
*Sant'Antonio Maria Claret - Vescovo (24 Ottobre)
Sallent (Catalogna, Spagna), 23 dicembre 1807 - Fontfroide (Francia), 24 ottobre 1870
Una figura del secolo XIX al cui nome è tuttora legata una congregazione religiosa diffusa in tutti i continenti, quella dei Missionari del Cuore Immacolato di Maria, detti appunto Clarettiani.
Di origine catalana, appena ordinato sacerdote Claret si reca a Roma, a Propaganda Fide, per essere inviato missionario.
Ma la salute precaria lo costringe a tornare in patria.
Così per sette anni si dedica alla predicazione delle missioni popolari tra la Catalogna e le Isole Canarie.
È tra i giovani raggiunti in questa attività apostolica che nasce l’idea della congregazione.
Nel 1849 viene nominato arcivescovo di Santiago di Cuba. Morirà il 24 ottobre 1870. (Avvenire)
Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Antonio Maria Claret, vescovo: ordinato sacerdote, per molti anni percorse la regione della Catalogna in Spagna predicando al popolo; istituì la Società dei Missionari Figli del Cuore Immacolato della Beata Maria Vergine e, divenuto vescovo di Santiago nell’isola di Cuba, si adoperò con grande merito per la salvezza delle anime.
Tornato in Spagna, sostenne ancora molte fatiche per la Chiesa, morendo infine esule tra i monaci cistercensi di Fontfroide vicino a Narbonne nella Francia meridionale.
Nato in una famiglia profondamente cristiana di tessitori catalani con dieci figli. Viene ordinato nel 1835, a 28 anni.
Va a Roma nel 1839 e si rivolge a Propaganda Fide per essere inviato come missionario in qualsiasi parte del mondo.
Non potendo raggiungere questo obiettivo, entra come novizio tra i Gesuiti, ma dopo pochi mesi deve tornare in patria perché malato.
Per sette anni predica numerosissime missioni popolari in tutta la Catalogna e le isole Canarie conquistando un'immensa popolarità, anche come taumaturgo. Sa mettere insieme la gente dando vita ad associazioni e gruppi.
Nel 1849 fonda una Congregazione apostolica: i Figli dell’Immacolato Cuore di Maria Oggi anche conosciuti come Missionari Clarettiani.
All'inizio del terzo millennio, essi lavorano in 65 paesi dei cinque continenti.
Nel 1936/39, durante la guerra civile spagnola, 271vengono uccisi per causa della fede.
Tra questi spiccano i 51 Martiri di Barbastro, beatificati da Giovanni Paolo II il 1992. (Vedi in questa web: Martiri Spagnoli Clarettiani di Barbastro).
Nominato nel 1849 arcivescovo di Santiago di Cuba (all'epoca appartenente alla corona di Spagna), arriva in diocesi nel febbraio di 1851.
Nel suo strenuo lavoro apostolico affronta i gravi problemi morali, religiosi e sociali dell'Isola: concubinato, povertà, schiavitù, ignoranza, ecc., ai quali si aggiungono due calamità che colpiscono la popolazione: epidemie e terremoti.
Ripercorre la sua vasta diocesi per ben quattro volte missionando instancabilmente con un gruppo di santi missionari.
Le sue preoccupazioni pastorali si riversano anche in gran parte nel potenziamento del seminario e nella riformazione del clero.
Nell'ambito sociale, promuove l'agricoltura, anche con diverse pubblicazioni e creando una fattoria-modello a Camagüey.
Oltre a questo crea in ogni parrocchia una cassa di risparmio, opera pioniera in America Latina.
Promuove l'educazione cercando Istituti religiosi e creando egli stesso insieme alla Venerabile Maria Antonia Paris la congregazione delle Religiose di Maria Immacolata (Missionarie Clarettiane).
La sua strenua fortezza nel difendere i diritti della Chiesa e i diritti umani li crea numerosi nemici tra i politici e i corrotti.
E così subisce minacce e attentati, tra i quali uno ad Holguin, dove viene gravemente ferito al volto.
Nel 1857 la regina lo richiama a Madrid come suo confessore.
In questa tappa continua ad annunziare il Vangelo nella capitale e in tutta la penisola.
Esiliato in Francia nel 1868 arriva con la regina a Parigi e, anche qui, prosegue le sue predicazioni.
Poi partecipa in Roma al concilio Vaticano I dove difende con ardore l'infallibilità del Romano Pontefice.
Perseguitato ancora dalla rivoluzione, si rifugia nel monastero di Fontfroide presso Narbona, dove spira santamente il 24 ottobre del 1870.
Sulla tomba vengono scolpite le parole di Papa Gregorio VII: "Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio".
Il suo corpo si venera nella Casa Madre dei Clarettiani a Vic (Barcellona).
E l’8 maggio 1950, Pio XII lo proclama Santo, e dice del Claret: "spirito grande, sorto come per appianare i contrasti: poté essere umile di nascita e glorioso agli occhi del mondo; piccolo nella persona però di anima gigante; modesto nell'apparenza, ma capacissimo d'imporre rispetto anche ai grandi della terra; forte di carattere però con la soave dolcezza di chi sa dell'austerità e della penitenza; sempre alla presenza di Dio, anche in mezzo ad una prodigiosa attività esteriore; calunniato e ammirato, festeggiato e perseguitato.
E tra tante meraviglie, quale luce soave che tutto illumina, la sua devozione alla Madre di Dio".
(Autore: P. Jesús Bermejo, CMF – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Antonio Maria Claret, pregate per noi.
*Santi Areta e Ruma, Sposi, e 340 Compagni - Martiri di Nagran (24 Ottobre)
+ Nagran, Arabia, VI secolo
Martirologio Romano: A Nagran in Arabia, passione dei Santi Áreta, principe della città, e trecentoquaranta compagni, martiri al tempo dell’imperatore Giustino, sotto Du Nuwas o Dun‘an re d’Arabia.
Nei primi anni del VI secolo gli etiopi, partendo da Axum, capitale religiosa e politica dell’Etiopia, attraversarono il Mar Rosso per imporre il loro dominio sugli ebrei e sugli arabi che abitavano il territorio pressoché corrispondente all’attuale Yemen.
Un giorno Dunaan, membro della despota famiglia dominante, precedentemente convertito al giudaismo, si pose a guida della rivolta contro gli invasori etiopi che avevano voluto diffondere nelle terre conquistate anche la religione cristiana: preso possesso della città di Zafar, ne massacrò la guarnigione ed il clero.
Trasformata una chiesa in una sinagoga, cinse allora d’assedio la città di Nagran, una tra le principali roccheforti cristiane di quel paese. Gli fu opposta una fiera resistenza e Dunaan ebbe la meglio soltanto quando promise un’amnistia agli abitanti qualora si fossero arresi.
Lasciò che i suoi soldati saccheggiassero tutta la città e condanno a morte tutti quei cristiani che avessero preferito non abbandonare la loro fede.
Il capo della resistenza fu un certo Banu Harith, citato quale Areta dai testi greco-latini, che il Martyrologium Romanum vuole principe della città di Nagran: egli fu decapitato insieme ai membri delle tribù che lo avevano sostenuto, mentre molti sacerdoti, diaconi e vergini consacrate furono arsi vivi.
Dunaan tentò di adescare la moglie di Areta come sua concubina, ma incapando in un suo netto rifiuto, si vendicò giustiziando dinnanzi i suoi occhi le quattro figlie e poi decapitando anche lei stessa. Il martirologio cattolico fissa nel numero 340 la quantità di cristiani che patirono il martirio in tali circostanze con Areta, ma altre fonti asseriscono che possano essere stati anche più di quattromila. Tutto ciò avvenne al tempo dell’imperatore Giustino e sotto Dhu Nuwas (o Dun’an), re degli Omeritani.
Dunaan stesso stilò un dettagliato resoconto dell’accaduto in una lettera ad un altro re arabo. Alla lettura erano presenti anche due vescovi cristiani, le cui testimonianze unite a quelle di alcuni profughi di Nagran contribuirono a diffondere in tutto il Medio Oriente la notizia del tragico massacro e la venerazione per i santi martiri.
Per molto tempo risuonò ancora l’eco di questa vicenda ed addirittura Maometto fece menzione del massacro nella Sura 85 del Corano, condannando i colpevoli all’inferno.
Il patriarca di Alessandria d’Egitto scrisse ai vescovi orientali raccomandandosi che le vittime fossero da tutte le Chiese commemorate come martiri cristiani.
La singolare vicenda di questa famiglia di martiri, Areta ed i suoi congiunti, nonché di tutti gli altri compagni di martirio, nel XVI secolo a giudizio del cardinale Baronio meritò di essere citata anche nel Martirologio Romano al 24 ottobre, soprassedendo al fatto che tutti costoro fossero assai probabilmente seguaci dell’eresia monofisita.
Dunque il Baronio riconobbe indirettamente come la palma del martirio superasse la macchia dell’eresia, a meno che la sua conoscenza alquanto sommaria delle Chiese d’Oriente non gli abbia fatto neppure sfiorare il dubbio dell’ortodossia dottrinale della Chiesa etiope.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Areta e Ruma, Sposi, e 340 Compagni, pregate per noi.
*Santi Ciriaco e Claudiano - Martiri (24 Ottobre)
Martirologio Romano: A Gerapoli in Frigia, nell’odierna Turchia, Santi Ciriaco e Claudiano, martiri.
Il Breviario Siriaco al 25 ottobre ricorda «a Gerapoli di Frigia tra gli antichi martiri Ciriaco e Claudiano».
Nel Martirologio Geronimiano questi nomi compaiono il 24 e 25 ottobre e il 25 novembre.
Il nome di Claudiano appare sempre nella forma integra, quello di Ciriaco, nella prima memoria, appare corrotto in Eugari, Eucariae, Eutheri; nella seconda in Chari; nella terza figura nella forma Kyriaci.
La più antica commemorazione di questi due Santi, secondo Delehaye, è quella del 24 ottobre.
I Bollandisti li commemorano lo stesso giorno insieme con alcuni compagni i cui nomi sono desunti da liste di martiri di Nicomedia che compaiono il 24 e il 26 ottobre nel Geronimiano.
(Autore: Placide Bazoche – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Ciriaco e Claudiano, pregate per noi.
*Sant'Ebregisilo (Evergislo) di Colonia - Vescovo (24 Ottobre)
Martirologio Romano: Presso Tongeren nel Brabante, nell’odierno Belgio, Sant’ Evergislo, vescovo di Colonia e martire, che, partito per Poitiers, morì ucciso per strada dai briganti mentre attendeva ai suoi doveri pastorali.
Vescovo di Colonia dalla fine del secolo VI, Ebregisilo fu discepolo di san Severino, che lo fece suo arcidiacono e al quale dovette poi succedere in quella sede.
La prima menzione di Ebregisilo vescovo di Colonia ricorre nella Historia Francorum di Gregorio di Tours, il quale peraltro accenna anche ad un altro Ebregisilo che nel 590 sarebbe stato inviato, insieme ad altri vescovi e prelati, dal re Childeberto II, a Poitiers per ristabilire l’ordine e la disciplina ecclesiastica nel locale monastero di Santa Croce, fondato non molto tempo prima da san Radegonda.
Le due citazioni di San Gregorio relative ad Ebregisilo non possono in realtà che riferirsi a una stessa persona, diversamente indicata; d’altra parte la cronotassi dei vescovi di Colonia, redatta tra l'870 e l'889, non ricorda, tra San Severino (397) e Solario (614), che un Carentinus e un Ebregisilo, il quale deve corrispondere all'Ebregisilo cui san Gregorio attribuisce la missione suddetta.
Il Martirologio Romano riporta inoltre che, dimorando Ebregisilo a Tongres (Belgio) e recandosi tutto solo ogni notte nel monastero di Santa Maria Madre di Dio per pregare, venne mortalmente colpito una notte da una freccia scagliatagli contro da alcuni briganti «a latronibus sagitta percussus occubuit»; questa morte violenta, accaduta prima del 594, gli valse il titolo di martire e la particolare venerazione di cui fu subito fatto oggetto.
Secondo i Gesta episcoporum Leodensium, Ebregisilo venne sepolto a Trutmonia, l’odierna Termogne, presso Celles-les-Waremme, a sud di Waremme, nella provincia di Luettich: «Beatus quoque Ebergisus succedens 24. in Trutmonia eiusdem episcopatus villa fuit tumulatus».
La Vita di Ebregisilo diffusasi a Colonia tra gli anni 1050 e 1160 è priva di ogni fondamento storico.
La festa di san Ebregisilo, vescovo di Colonia, viene celebrata il 24 ottobre.
(Autore: Niccolò Del Re - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ebregisilo di Colonia, pregate per noi.
*Beato Eximeno de Ayvar - Mercedario (24 Ottobre)
Cavaliere laico e commendatore del convento di Santa Maria in Sarrione (Aragona, il Beato Eximeno de Ayvar, fu illustre per lo zelo, l'austerità e la pietà.
Con le sue famose gesta rese onore e gloria all'Ordine Mercedario e al Signore ed ora esulta per sempre nella patria del paradiso.
L'Ordine lo festeggia il 24 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Eximeno de Ayvar, pregate per noi.
*Santi Felice, Adautto e Gennaro - Martiri venerati a Venosa (24 Ottobre)
m. 303
Le passiones oggi possedute, dipendenti da una passio di un contemporaneo, sono state interpolate con ogni probabilità da autori dell'Italia meridionale, giacché il luogo del martirio del vescovo africano Felice è trasferito da Cartagine a Venosa nella Puglia od a Nola nella Campania.
Queste passiones sono state poi riassunte in vari Martirologi con altre deformazioni od aggiunte. Il Delehaye ha cercato di togliere gli elementi leggendari presentando la probabile redazione primitiva.
Il magistrato di una località non molto distante da Cartagine, Thibiuca, oggi Zoustina (il nome è però trascritto in documenti antichi e recenti in vari modi: Tibiura, Tubioca, Tubzack, ecc.), eseguendo gli ordini imperiali, nel giugno del 303, chiamò in tribunale il prete Afro ed i lettori Cirillo (Giro) e Vitale.
Alla richiesta di consegnare i libri sacri, Afro rispose che erano in possesso del vescovo Felice, in quel giorno assente dalla città.
Il giorno seguente fu la volta del vescovo, il quale anche lui, alla richiesta del magistrato di consegnare i libri sacri, oppose un netto rifiuto.
Furono concessi tre giorni di tempo per riflettere, passati i quali Felice venne inviato a Cartagine al proconsole Anulino. Dopo quindici giorni di permanenza in carcere fu sottoposto ad interrogatorio: gli furono nuovamente richiesti i libri sacri che il vescovo non volle consegnare, e per conseguenza fu condannato alla decapitazione.
Aveva allora cinquantasei anni. La sentenza fu eseguita il 15 luglio; fu sepolto nella basilica di Fausto, celebre per i molti corpi di martiri ivi sepolti (cf. Mansi, VIII, col. 808). In alcuni martirologi è menzionato il 30 agosto (forse perché ci fu confusione con i martiri romani Felice ed Adautto commemorati nella stessa giornata).
In altri Martirologi la festa è al 24 ottobre.
Meritano segnalazione le aggiunte leggendarie, perché denotano l'estensione del culto di Felice nell'Italia meridionale.
Nella prima parte queste passiones riferiscono l'interrogatorio e gli episodi sopraddetti, differendo specialmente nella parte finale. Infatti il proconsole Anulino non avrebbe impartito l'ordine di decapitazione bensì quello di inviare Felice in Italia.
La descrizione del viaggio presenta notevoli differenze da testo a testo; secondo una narrazione Felice transitò per Agrigento, Taormina, Catania, Messina ed infine giunse a Venosa ove il prefetto lo fece decapitare (30 agosto).
Mentre un'altra versione riferisce che Felice fu inviato a Roma e quivi condannato a seguire gli imperatori, per cui giunse a Nola ove venne ucciso il 29 luglio (in altro testo c'è la data del 15 gennaio).
Le reliquie furono poi trasferite a Cartagine. Secondo il primo racconto a Venosa furono martirizzati i compagni di Felice il prete Gennaro ed i lettori Fortunanzio e Settimio.
Il Martirologio Romano, copiando da quelli di Usuardo ed Adone, nomina invece, come compagno di Felice, Adautto.
L'aggiunta di questo nome è facilmente spiegabile: a Roma erano venerati il 30 agosto Felice ed Adautto, per cui i compilatori confusero il Felice romano con il Felice cartaginese.
Resta la questione di Felice venerato nell'Italia meridionale ed in particolar modo a Venosa. Si tratta indubbiamente del Santo di Thibiuca: lo affermano le stesse passiones leggendarie.
Il fatto del culto, assai antico, può essere dipeso dalla presenza di reliquie del martire africano.
Agli agiografi italiani non fu poi difficile spiegare la venerazione descrivendo il martirio come avvenuto a Venosa od a Nola. Nella leggenda di Venosa sono menzionati i martiri compagni di Felice, Gennaro, Fortunaziano, Settimino.
Si tratta probabilmente di santi africani (cf. Lanzoni, pp. 286-87) facenti parte di una complessa leggendaria vicenda riguardante altre città dell'Italia meridionale. Con ogni probabilità il compilatore italiano ha sostituito ad Afro e compagni, menzionati negli Atti autentici, altri martiri venerati a Venosa ed in altre località della zona.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Felice, Adautto e Gennaro, pregate per noi.
*San Fromundo di Coutances - Vescovo (24 Ottobre)
Martirologio Romano: A Coutances in Neustria, sempre in Francia, San Fromundo, vescovo, che fondò ad Ham un cenobio di monache ed esercitò il suo servizio pastorale nell’amore del Signore.
Fromundo (Fromondo, fr. Frodomond, Fromond), vescovo di Coutances alla fine del secolo VII, non è conosciuto che da un'iscrizione scolpita su una mensa di altare, scoperta nel 1693 nella chiesa di san Pietro di Ham, presso Valognes.
Secondo questa iscrizione, egli avrebbe presieduto nel 680 la dedicazione della chiesa di un'abbazia di monache, che, dopo le invasioni normanne, divenne un priorato, dipendente dall'abbazia Saint-Père di Chartres.
Il culto non ha lasciato che tracce tardive, a partire dal secolo XII, e fu limitato all'abbazia di Cérisy, da cui dipende un priorato di San Fromond, al priorato di San Lo a Rouen, dove si pensava di possedere il suo corpo, e infine nell'abbazia di Fécamp, a causa di una confusione con il martire Frémond.
(Autore: Gérard Mathon - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fromundo di Coutances, pregate per noi.
*Beato Giuseppe Baldo - Sacerdote e Fondatore (24 Ottobre)
Puegnago, Brescia, 19 febbraio 1843 – Ronco all’Adige, Verona, 24 ottobre 1915
Nacque il 19 febbraio 1843 a Puegnago, sulla riva occidentale del Lago di Garda in provincia di Brescia, sesto di nove figli.
A 16 anni entrò nel Seminario vescovile di Verona. Ordinato sacerdote nel 1865 a soli 22 anni, gli fu affidato l'incarico di vicereggente del Collegio vescovile di Verona.
Nel 1877 gli fu assegnata la parrocchia di Ronco all'Adige (Verona), dove già all'arrivo trovò le minacce di un gruppo di massoni.
Numerose le opere che nacquero dal suo impegno sociale e caritativo. Nel 1882 istituì il sodalizio delle «Ancelle della Carità di Santa Maria del Soccorso»; poi l'Asilo infantile gratuito, la Scuola di Lavoro, il Ginnasio parrocchiale, una Biblioteca Circolante.
Nel 1884 fondò la Società Operaia di Mutuo Soccorso, per difendere i poveri dagli usurai e nel 1888 aprì il piccolo ospedale «Casa Ippolita». Nel 1893 aprì un ricovero per anziani e nel 1844 la «Cassa Rurale Cattolica». Per i laici nel 1882 istituì il Comitato parrocchiale uomini e l'Associazione madri cristiane. Nel 1894 fondò la Congregazione delle «Piccole Figlie di San Giuseppe». Morì il 24 ottobre 1915 a Ronco all'Adige. È beato dal 1989. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Ronchi lungo l’Adige vicino a Verona, Beato Giuseppe Baldo, sacerdote, che, dedito al ministero pastorale, fondò la Congregazione delle Piccole Figlie di San Giuseppe per l’assistenza agli anziani e ai malati e l’istruzione dei bambini e dei giovani.
Giuseppe Baldo nacque il 19 febbraio 1843 a Puegnago, sulla riva occidentale del Lago di Garda in provincia di Brescia, sesto dei nove figli di Angelo Baldo agricoltore e Ippolita Casa ostetrica.
Degli otto fratelli ben sei morirono in tenera età, purtroppo la mortalità infantile era una piaga che ha segnato l’esistenza di tante famiglie fino a pochi decenni fa.
I suoi genitori, in particolare la madre, gli diedero un educazione morale e religiosa encomiabile; apprese l’avversione ad ogni forma di compromesso e la precisione nell’adempiere i propri doveri.
A 16 anni entrò nel Seminario vescovile di Verona, diocesi a cui apparteneva Puegnago, si distinse per l’esemplare comportamento, l’applicazione agli studi, lo spirito di pietà, l’ardore apostolico, per cui gli fu concesso dalla Santa Sede il permesso di essere ordinato sacerdote il 15 agosto 1865 a soli 22 anni.
Dopo una parentesi nel 1866 come vicario parrocchiale nel paese di Montorio (Verona), fu presto richiamato in Seminario, dove gli fu affidato l’incarico di vicereggente del Collegio Vescovile di Verona, incarico che tenne per più di dieci anni; dimostrandosi ottimo educatore e plasmatore di anime; scrisse un manuale di preghiere che fu anche stampato, inoltre omelie e regole disciplinari.
Dopo il lungo periodo di feconda opera al Collegio, chiese ed ottenne dal suo vescovo di potersi dedicare ad un campo più vasto, pertanto gli fu assegnata la parrocchia di Ronco all’Adige (Verona), ne prese possesso il 17 novembre 1877, quasi di nascosto per evitare lo scontro con il gruppo di massoni, che l’aveva minacciato di morte se avesse usata la consueta solennità nella cerimonia.
Cosciente e convinto che tutto quello che riguarda la promozione umana del popolo, deve essere pensiero e cura anche del parroco, convogliò ogni sforzo per la realizzazione di un vasto piano d’azione sociale e caritativa, diretto ad elevare ogni persona nei suoi bisogni temporali e spirituali.
Nel 1882 riunì delle donne per l’assistenza infermieristica gratuita a domicilio, in un pio sodalizio denominato "Ancelle della Carità di Santa Maria del Soccorso"; istituì l’Asilo infantile gratuito, la Scuola di Lavoro e il Ginnasio parrocchiale, inoltre aprì una Biblioteca Circolante.
Nel 1884 fondò la Società Operaia di Mutuo Soccorso, per difendere i poveri dagli usurai e nel 1888 aprì il piccolo Ospedale "Casa Ippolita" dal nome della madre, per curare gli ammalati poveri e accogliere i vecchi abbandonati.
Ancora nel 1893 aprì un ricovero per gli anziani poveri di Ronco all’Adige e dei dintorni e nel 1894 fondò la "Cassa Rurale Cattolica", per concedere prestiti e depositi ad interessi convenienti; nel paese, terra di emigranti, piaga sociale del tempo in Veneto, diffuse un "Decalogo dell’emigrante", precorrendo l’Enciclica ‘Rerum Novarum’ di Papa Leone XIII.
In campo religioso, pose l’Eucaristia al centro della vita spirituale, divulgò l’Apostolato della preghiera, cominciò l’insegnamento della Dottrina Cristiana; nel 1879 riordinò la Confraternita del SS. Sacramento, istituì le Quarantore e rese di nuovo attiva la Compagnia della Dottrina Cristiana.
Per impegnare i laici nell’apostolato, nel 1882 istituì il Comitato Parrocchiale Uomini e l’Associazione Madri Cristiane; per i giovani volendoli formare alle virtù e alla devozione alla Madonna, istituì nel 1882 l’Oratorio femminile e nel 1885 l’Oratorio maschile.
Per poter provvedere adeguatamente alla gestione di tutte le opere assistenziali per i bisognosi, nel 1893 aveva chiamato a dirigere la "Casa Ippolita", le Sorelle della Misericordia di Verona, le quali però dopo un anno si ritirarono, perché impegnate in un’altra istituzione femminile a Ronco.
A questo punto, come accadde a tanti fondatori e fondatrici, dovette istituire lui una nuova Congregazione; quindi il 13 ottobre 1894 diede inizio con alcune postulanti alla Congregazione delle "Piccole Figlie di San Giuseppe".
Il 25 giugno 1897 le prime sette suore fecero la professione religiosa; come cofondatrice ci fu Clementina Ippolita Forante (1864-1928); scopo dell’Istituzione è l’assistenza agli anziani e agli ammalati e l’educazione dell’infanzia e della gioventù.
Dopo tanto logorante impegno e dopo 22 mesi di malattia dolorosa, il 24 ottobre 1915 padre Giuseppe Baldo morì a 72 anni a Ronco all’Adige.
Le sue spoglie mortali il 7 settembre 1950 furono traslate dal locale cimitero alla Cappella della Casa madre delle Piccole Figlie di san Giuseppe; il 24 ottobre 1955 si aprì il primo processo informativo diocesano per la sua beatificazione.
È stato proclamato beato il 31 ottobre 1989 a Roma, da Pesapa Giovanni Paolo II; la sua celebrazione è il 24 ottobre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Baldo, pregate per noi.
*San Giuseppe Le Dang Thi - Martire (24 Ottobre)
Martirologio Romano: A Huê in Annamia, ora Viet Nam, San Giuseppe Lê Đăng Thị, martire: ufficiale, messo in carcere perché cristiano, testimoniò tra i supplizi in mezzo ai compagni di prigionia la fede, dalla quale mai deviò, e fu infine strangolato sotto l’imperatore Tự Đức.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Le Dang Thi, pregate per noi.
*San Guglielmo de Anglesi - Mercedario (24 Ottobre)
XIII secolo
Dopo la riconquista di Maiorca (Spagna), nel 1230 da parte del Beato Giacomo l°, Re d'Aragona, i cavalieri laici mercedari ritornarono sull'isola.
Il Beato Guglielmo de Anglesi faceva parte appunto del convento del Santissimo Salvatore in Maiorca dove fu esempio di eroiche virtù e riportò gli isolani alla fede cattolica.
Cavaliere insigne meritò dopo la morte il titolo di Beato.
L'Ordine lo festeggia il 24 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guglielmo de Anglesi, pregate per noi.
*San Luigi Guanella - Sacerdote (24 Ottobre)
Fraciscio di Campodolcino, 19 dicembre 1842 - Como, 24 ottobre 1915
Luigi Guanella nacque a Fraciscio di Campodolcino (Sondrio) nel 1842. Nel 1866 divenne sacerdote. Nella sua attività pastorale avvicinò le esperienze del Cottolengo e di don Bosco, che incontrò a Torino e con il quale trascorse tre anni. Nel 1881 fondò i Servi della Carità e le Figlie di Santa Maria della Provvidenza.
Presto da Como si diffusero in Italia e anche in America, Asia e Africa. A Roma, con l'aiuto di Pio X, sorse la basilica del Transito di San Giuseppe. Guanella intervenne con don Orione nel terremoto della Marsica: gennaio 1915. Si spense pochi mesi dopo. È beato dal 1964 e santo dal 2011.
Etimologia: Luigi = derivato da Clodoveo
Martirologio Romano: A Como, beato Luigi Guanella, sacerdote, che fondò la Congregazione dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza per prendersi cura delle necessità dei più poveri e degli afflitti e provvedere alla loro salvezza.
1. Biografia
Luigi Guanella nacque a Fraciscio di Campodolcino in Val San Giacomo (Sondrio) il 19 dicembre 1842. Morì a Como il 24 ottobre 1915.
La sua valle e il paese (m. 1350 sul mare) sono nelle Alpi Retiche. Fin dall'antichità vi si stabilirono delle comunità vissute, con fatica e stento, di agricoltura alpina e di allevamento e la cui storia, economia e struttura sociale fino al 1800 sono segnate dalla posizione geografica della valle chiusa sui due lati da due catene di monti altissimi, ma soggetta a invasioni di transito.
La valle segna la via più breve di comunicazione tra il sud e il nord delle Alpi centrali, conferendo qualche vantaggio, soprattutto i privilegi di una certa libertà comunale concessa perché gli abitanti non ostacolassero le comunicazioni commerciali o militari.
Fieri di questa libertà, fervidamente attaccati alla religione cattolica in contrasto col confinante Canton Grigioni riformato, vivevano in povertà, dediti ai più duri lavori per garantirsi il minimo di sopravvivenza. Le qualità che ne riportò il G. furono l'abitudine al sacrificio e al lavoro, l'autonomia, la pazienza e la fermezza nelle decisioni, insieme a grande fede.
Queste qualità si rafforzarono nella famiglia: il padre Lorenzo, per 24 anni sindaco di Campodolcino sotto il governo austriaco e dopo l'unificazione (1859), severo e autoritario, la madre Maria Bianchi, dolce e paziente, e 13 figli quasi tutti arrivati all'età adulta.
A dodici anni ottenne un posto gratuito nel collegio Gallio di Como e proseguì poi gli studi nei seminari diocesani (1854-1866). La sua formazione culturale e spirituale è quella comune ai seminari nel Lombardo-Veneto, per lungo periodo sotto il controllo dei governanti austriaci; il corso teologico era povero di contenuto culturale, ma attento agli aspetti pastorali e pratici: teologia morale, riti, predicazione e, di più, alla formazione personale: pietà, santità, fedeltà.
La vita cristiana e sacerdotale si alimentava alla devozione comune fra la popolazione cristiana.
Questa impostazione concreta pose il giovane seminarista e sacerdote assai vicino al popolo e a contatto con la vita che esso conduceva.
Quando tornava al paese per le vacanze autunnali si immergeva nella povertà delle valli alpine; si interessava dei bambini e degli anziani e ammalati del paese, passando i mesi nella cura di questi, e nei ritagli si appassionava alla questione sociale (Taparelli), raccoglieva e studiava erbe medicinali (Mattioli), si infervorava leggendo la storia della Chiesa (Rohrbacher).
In seminario teologico entrò in familiarità col vescovo di Foggia, Bernardino Frascolla, rinchiuso nel carcere di Como, poi a domicilio coatto in seminario (1864-66), e si rese conto della ostilità che dominava le relazioni dello stato unitario verso la Chiesa. Questo vescovo ordinò Guanella sacerdote il 26 maggio 1866.
Entrò con entusiasmo nella vita pastorale in Valchiavenna (Prosto, 1866 e Savogno, 1867-1875) e, dopo un triennio salesiano, fu di nuovo in parrocchia in Valtellina (Traona, 1878-1881), per pochi mesi a Olmo e infine a Pianello Lario (Como, 1881-1890).
Fin dagli inizi a Savogno rivelò i suoi interessi pastorali: l'istruzione dei ragazzi e degli adulti, l'elevazione religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani, con la difesa del popolo dagli assalti del liberalismo e con l'attenzione privilegiata ai più poveri.
Non disdegnava interventi battaglieri, quando si vedeva ingiustamente frenato o contraddetto dalle autorità civili nel suo ministero, così che venne presto segnato fra i soggetti pericolosi ("legge dei sospetti"), specialmente dal momento che pubblicò un libretto polemico.
Nel frattempo a Savogno approfondiva la conoscenza di don Bosco e dell'opera del Cottolengo; invitò don Bosco ad aprire un collegio in valle; ma, non potendo realizzare il progetto, il Guanella ottenne di andare per un certo periodo da don Bosco.
Richiamato in diocesi dal Vescovo, aprì in Traona un collegio di tipo salesiano; ma anche qui venne ostacolato; si andò a rimestare le controversie di Savogno e gli fu imposto di chiudere il collegio.
Si mise a disposizione del vescovo con obbedienza eroica. Mandato a Pianello poté dedicarsi all'attività di assistenza ai poveri, rilevando l'Ospizio fondato dal predecessore don Carlo Coppini, con alcune orsoline che organizzò in congregazione religiosa (Figlie di S. Maria della Provvidenza) e con queste avviò la Casa della Divina Provvidenza in Como (1886), con la collaborazione di suor Marcellina Bosatta e della sorella Beata Chiara. La Casa ebbe subito un rapido sviluppo, allargando l'assistenza dal ramo femminile a quello maschile (congregazione dei Servi della Carità), benedetta e sostenuta dal Vescovo B. Andrea Ferrari.
L'opera si estese ben presto anche fuori città: nelle province di Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), a Cosenza e altrove, in Svizzera e negli Stati Uniti d'America (1912), sotto la protezione e l'amicizia di S. Pio X.
Nell'opera maschile ebbe come collaboratori esimi don Aurelio Bacciarini, poi vescovo di Lugano, e don Leonardo Mazzucchi.
Le opere e gli scopi che cadono sotto l'attenzione del G. (e gli impedirono di fermarsi con don Bosco) sono quelli tipici della sua terra di origine. Molti i bisognos: bambini e giovani, anziani lasciati soli, emarginati, handicappati psichici (ma anche ciechi, sordomuti, storpi): tutta la fascia intermedia tra i giovani di don Bosco e gli inabili del Cottolengo, persone ancora capaci di una ripresa: terreno duro e arido come la sua terra natale, ma che, lavorato con amore (nelle scuole, laboratori, colonie agricole) può dare frutti insperati.
2. Il carisma e messaggio - la santità
Il carisma suo è l'annuncio biblico della paternità di Dio che per il G. costituisce un'esperienza personale profonda, di carattere mistico e profetico, e dà alla sua santità e missione una dimensione tipica e qualificata; esperienza che vuole partecipare specialmente ai più poveri e abbandonati: Dio è padre di tutti e non dimentica né emargina i suoi figli. Notevoli i suoi due scritti: Andiamo al Padre (1880) e Il Fondamento (1885).
Le sue case si organizzano coerentemente in strutture a misura d'uomo, con spirito di famiglia e adattano un proprio metodo preventivo (cf. Regolamento dei Servi della Carità, l905), affidate alla paternità di Dio. La guida e la conduzione di tutto sono affidate a lui: "è Dio che fa".
La santità di L.G. sta nella perfezione non solo morale, ma ontologica, conforme alla sua esperienza della paternità di Dio. Cercò sempre, fin dalla giovinezza, una coerenza tra il pensare, credere e agire; lo nota fin dal ginnasio il suo insegnante di religione: "Cerca con singolare diligenza di approfondire tutte le parti dell'insegnamento, sente ed ama quel che impara e ne informa la vita".
Come sacerdote, ministro di Dio, il suo incontro con Dio Padre fu partecipazione alla sua carità immensa, alla onnipotenza creatrice e provvidente, alla misericordia incarnata e redentrice e divenne crocevia di incontro degli uomini con Dio, attraverso e mediante la carità del santo verso i fratelli bisognosi.
Si aggiungano le forme proprie del tempo: le devozioni al S. Cuore, alla Vergine Immacolata e un'ascetica austera di penitenze, di preghiere, di severità e osservanza, di lavoro e sacrificio per la missione della carità; in uno stile di semplicità, tolleranza, misericordia, speranza gioiosa, quasi in contrasto col suo carattere energico, volitivo, fatto per rompere gli indugi, qualche volta impulsivo e irascibile.
Univa una volontà indomabile.
Su questa via verso la santità guidò la discepola Beata suor Chiara Bosatta, capolavoro della sua arte di educatore e di direttore spirituale.
Il Guanella è stato proclamato beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964 (Processi diocesani: 1923-1930, introduzione della causa: 15 marzo 1939) ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como.
(Autore: Piero Pellegrini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luigi Guanella, pregate per noi.
*San Maglorio - Vescovo, Abate (24 Ottobre)
Vannes, 535 - Serk (La Manica), 24 ottobre 605
Martirologio Romano: Nella Bretagna in Francia, San Maglorio, che, discepolo di Sant’Iltuto, si tramanda sia succeduto a san Sansone vescovo di Dol e abbia vissuto in solitudine sull’isola di Sark.
La sua vicenda terrena è raccontata da quel capolavoro dell’antica letteratura brettone, che è la "Vita Maglorii", scritta da un monaco dell’abbazia di Lehon presso Dinan (Côtes-du-Nord), fondata dal re brettone Nominoè e che custodiva nel IX secolo le reliquie del santo.
L’autore, un monaco sconosciuto, rivela in questa ‘Vita’, tutte le sue alte capacità di scrittore e la sua profonda cultura, infatti egli amava la natura, conosceva il greco, gli erano familiari Orazio e Ovidio, così pure San Girolamo; i suoi libri preferiti erano la Bibbia e Virgilio.
Il vescovo San Maglorio nacque nel 535 nella diocesi di Vannes, al tempo di papa Sant'Agapito, sotto l’impero di Giustiniano I, quando nella Bretagna Armorica regnava Hoel II.
Secondo la ‘Vita’ suddetta, Maglorio era cugino di San Sansone († 565) e di San Macuto († 640) e crebbe, secondo le abitudini del tempo, alla scuola di Sant'Iltudo († 540), nel suo monastero di Llantwit nel Galles, insieme a Sansone suo contemporaneo; dopo una permanenza in famiglia, seguì il cugino nel monastero di San Peirio in una isola presso Llantwit.
Quando dopo la morte di San Peirio, Sansone gli successe come abate, questo ordinò diacono il cugino Maglorio, che lo accompagnò quando s’imbarcò per l’Armorica in Bretagna, predicando insieme nelle regioni costiere; quando Sansone fondò alcuni monasteri per i suoi discepoli, Maglorio divenne abate di uno di essi nelle vicinanze di Dol, poi divenne prete e infine vescovo.
A circa 70 anni, fu successore di Sansone, vescovo-abate come lui di una diocesi mal definita, ormai anziano e desideroso di vivere in solitudine, Maglorio affidò la diocesi al monaco Budoco e si ritirò nell’isola di Serk, isola normanna, oggi inglese presso Guernesey, offertagli da Loiescon, conte delle Isole della Manica, dov’è ubicata.
Ma anche qui Maglorio non trovò la solitudine cercata, perché intorno a lui si adunarono altri discepoli, per cui fondò sull’isola un monastero con 62 monaci.
Tuttavia Maglorio visse una vita da penitente, digiuno assoluto il mercoledì e il venerdì, cibo ridotto al minimo negli altri giorni e solo alcuni piccoli pesci nelle grandi solennità per compiacere i suoi discepoli.
Maglorio morì dopo la lunga carestia del 586; di cui anche la comunità monastica di Serk ne subì le conseguenze e i monaci si dispersero due a due in Irlanda e nel Galles.
Ma questa collocazione della data della morte è incerta; il Martirologio Romano la pone al 24 ottobre del 605 circa, quindi qualche decennio dopo l’inizio della carestia; inoltre San Maglorio è considerato anche vescovo di Dol, ministero svolto prima di ritirarsi a Serk.
Certo, queste incertezze vanno inquadrate nel contesto storico dei cosiddetti vescovi celtici itineranti, che nei secoli V-VI-VII, caratterizzarono l’evangelizzazione delle due regioni costiere sulla Manica, che veniva attraversata continuamente dai missionari in uno scambio frequente di opere e di uomini, portatori del Vangelo e fondatori di chiese e monasteri, sia nella Bretagna (Francia) sia nel Galles (Gran Bretagna), sia in Irlanda; e le Isole Normanne del Canale della Manica, furono tappe privilegiate di tale evangelizzazione e spesso sede di eremitaggi.
Nell’850 i monaci di Lehon, si appropriarono letteralmente delle reliquie del santo vescovo-abate e da Serk le trasferirono a Lehon, costruendo una chiesa per custodirle; il cosiddetto furto fu perpetrato, perché il re dell’Armorica (antico nome della Bretagna) Nominoè, offriva loro delle terre, a patto che possedessero delle reliquie.
Per timore delle invasioni Normanne, nel X secolo le reliquie furono trasferite a Parigi e deposte nella cappella del Palazzo reale, dopo tale trasferimento, il culto per San Maglorio conobbe una nuova diffusione; è santo patrono di vari paesi francesi che lo festeggiano localmente il 25 ottobre, mentre l’aggiornata edizione del Martirologio Romano lo riporta il 24 ottobre.
Nelle opere d’arte che lo raffigurano è genericamente dipinto come pellegrino o eremita; nella chiesa del convento camaldolese di Faenza, è raffigurato in un quadro del pittore romano Antonio Mancini (1852-1930).
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Maglorio, pregate per noi.
*Santi Marco, Soterico e Valentina - Martiri in Asia (24 Ottobre)
Etimologia: Valentina = che sta in buona salute, dal latino
Emblema: Palma
I sinassari bizantini commemorano abitualmente al 24 ottobre (altri al 26 dello stesso mese) il gruppo di Marco, Soterico e Valentina.
Nella notizia che è loro dedicata, oltre al troppo generico "in Asia" (nel senso della diocesi che aveva Efeso come capitale), non sono fornite altre precisazioni topografiche sui luoghi della loro esistenza.
Essi morirono lapidati a causa della loro fede in Cristo.
Le loro reliquie furono trasportate dall'Asia nell'isola di Tasos.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Marco, Soterico e Valentina, pregate per noi.
*Beata Maria Tuci - Vergine e Martire (24 Ottobre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Albanesi" (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) - 5 novembre
Ndërfushaz, Albania, 12 marzo 1928 - Scutari, Albania, 24 ottobre 1950
Maria Tuci, nativa del villaggio di Ndërfushaz in Albania, frequentò il collegio delle suore Stimmatine a Scutari e domandò di poter entrare nel loro Istituto religioso. Incaricata d’insegnare nelle scuole elementari di due paesi, trasmise clandestinamente anche il catechismo.
Arrestata con alcuni familiari il 10 agosto 1949, fu condotta nel carcere di Scutari, dove, per non aver rivelato il nome dell’uccisore di un politico comunista e per non aver voluto concedersi a un membro della Sigurimi (la polizia di regime), subì torture atroci.
A causa delle privazioni subite, venne ricoverata nell’ospedale civile di Scutari, dove morì il 24 ottobre 1950.
I suoi resti mortali, riesumati dopo la caduta del comunismo in Albania, attualmente riposano nella chiesa delle Stimmatine a Scutari. È l’unica donna presente nell’elenco dei 38 Martiri albanesi beatificati il 5 novembre 2016, sotto il pontificato di papa Francesco.
Famiglia e vocazione
Maria (o Marije) Tuci nacque nel villaggio di Ndërfushaz, nel distretto di Mirdita, in Albania, il 12 marzo 1928, figlia di Nikoll Mark Tuci e Dila Fusha.
Frequentò le scuole medie superiori nel collegio aperto a Scutari dalle suore dell’Istituto delle Povere Figlie delle Sacre Stimmate, popolarmente dette Stimmatine, fondate a Firenze da suor Anna Lapini (Venerabile dal 2003).
La presenza di queste religiose in Albania risale al 1879, quando, a diciannove anni dalla morte della loro fondatrice, vennero chiamate dal francescano padre Giampiero da Bergamo.
Presso di loro Maria apprese non solo le materie scolastiche, ma anche come stare accanto alla sua gente. Per questo motivo, chiese di essere ammessa tra le loro aspiranti alla vita religiosa.
Giovane insegnante
Nel 1946, insieme alla compagna Davida Markagjoni, ricevette un incarico come insegnante di scuola elementare nei paesi di Gozan e Sang da parte di monsignor Frano Gjini, vescovo-abate di Sant’Alessandro a Orosh (Shën Llezhri-Oroshit), nel distretto della Mirdita.
Le due giovani erano state scelte per la loro tenacia nel difendere ciò in cui credevano e ne diedero presto la dimostrazione: in uno Stato che si avviava ad essere il primo al mondo dichiaratamente ateo, cercavano di non far dimenticare ai più piccoli la presenza di Dio insegnando di nascosto il catechismo.
Per procurare ai bambini il materiale scolastico, Maria pagava spesso di tasca propria. Inoltre, insieme con altri giovani delle scuole cat¬toliche e anche con alcuni seminaristi, si diede a distribuire volantini contro le prime elezioni-farsa del regime. Per partecipare alla Messa nella vicina cittadina di Geziq, camminava per sei o sette chilometri.
La persecuzione e l’arresto
Tuttavia la persecuzione, che già stava minacciando i cattolici e non solo, costrinse le Stimmatine di origine italiana a lasciare il Paese o a disperdersi, per l’associazione, supposta dal regime, tra "italiani" e "fascisti".
In base alla documentazione custodita presso la Curia arcivescovile di Scutari risulta che l’11 agosto 1949, invece, toccò a lei, che era tornata in famiglia: venne arrestata, unica donna, in un gruppo di trecento persone, insieme ad alcuni familiari e conoscenti.
Pochi giorni prima, il 7 agosto, era stato ucciso Bardhok Biba, segretario del partito comunista del distretto di Mirdita: evidentemente, si cercava un possibile capro espiatorio. Tra l’altro, il distretto era l’unico popolato in prevalenza da cattolici.
La prigionia
Le condizioni in cui versavano Maria, condannata a tre anni con la condizionale, e altri tre prigionieri vennero riferite in seguito: stavano in una cella priva di luce e di aria, dove l’acqua piovana arrivava fino ai materassi dei detenuti e l’unico modo per riscaldarsi era stringersi gli uni accanto agli altri.
In aggiunta a queste privazioni, la ragazza veniva prelevata dalla cella e torturata affinché svelasse il nome dell’uccisore di Biba.
Ad esempio, venne chiusa in un sacco, senza vestiti addosso, insieme a un gatto inferocito; nel frattempo, il sacco era preso a bastonate. Colpito dalla sua avvenenza fisica, uno dei membri della Polizia segreta o Sigurimi, Hilmi Seiti, volle obbligarla a concedersi a lui, ma ella rifiutò decisamente; a quel punto, i tormenti furono intensificati.
La morte
A causa delle ripetute vessazioni, venne trasportata nell’ospedale civile di Scutari. Il 22 agosto 1950 alcune suore e sue compagne andarono a trovarla: effettivamente, era così malridotta che la riconobbero a fatica.
Alla compagna Davida, che faceva parte del gruppo, disse: «Si è avverata la parola di Hilmi Seiti: "Ti ridurrò in uno stato tale che neppure i tuoi familiari ti riconosceranno".
Ringrazio Dio perché muoio libera!». Circa due mesi dopo, il 24 ottobre, rese l’anima a Dio.
La perseveranza delle Stimmatine albanesi
I suoi resti mortali vennero riconosciuti solo dopo la caduta del regime, da parte di alcune consorelle tra quelle che, tornate in famiglia o disperse tra i monti, erano rimaste fedeli alla loro chiamata.
Nel 1991, a seguito di alcune ricerche, si appurò che, delle cento tra suore e postulanti, ne erano rimaste ventotto, che vennero condotte in Italia a curarsi. Quelle di loro che non avevano emesso i voti poterono finalmente farlo.
L’unica donna tra i Beati martiri albanesi
Inizialmente sepolta nel cimitero cattolico di Scutari, attualmente Maria Tuci riposa nella chiesa delle Suore Stimmatine sempre a Scutari. È l’unica donna presente nell’elenco dei 38 martiri albanesi (dei quali fa parte anche il già citato monsignor Frano Gjini), beatificati a Scutari il 5 novembre 2016.
Alla sua memoria è stato intitolato un collegio per ragazze, situato a Rreshen e gestito dalle suore Serve del Signore e della Vergine di Matará, ramo femminile dell’Istituto del Verbo Incarnato.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Tuci, pregate per noi.
*San Martino di Vertou - Abate (24 ottobre)
VI sec.
Martirologio Romano: Nel monastero di Vertou nel territorio di Retz in Francia, San Martino, diacono e abate, che San Felice vescovo di Nantes mandò a convertire i pagani di questa regione.
Il Martirologio Romano pone al 24 ottobre «nel monastero di Vertou la morte di san Martino abate» e anche la città di Vertou, posta ad alcuni Kilometri a Sud-Est di Nantes (Loire-Atlantique), sulle rive della Sèvre nantese, conserva il ricordo di Martino abate.
«Per dire il giusto - scrive Lobineau - bisogna riconoscere che si ignorano le date della sua nascita e della sua morte», ma si sa che egli visse al tempo di san Felice, vescovo di Nantes dal 549 al 582. La diocesi di Nantes era allora limitata dalla Loira, mentre il territorio a Sud del fiume dipendeva da Poitiers.
Ciò non impedì a san Felice desideroso di convertire le popolazioni ancora pagane della regione (che è attualmente il paese di Retz), di mandarvi il suo diacono Martino.
La missione di quest’ultimo fu un vero insuccesso che, in seguito, la leggenda elaborerà raccontando che Martino nella città favolosa e pervertita di Herbauges (Herbadilla) ricevette la medesima accoglienza di Lot a Sodoma e Gomorra. Riprendendo il racconto biblico la leggenda ci mostra Martino accolto soltanto da un certo Romano e poi in fuga con questo e la moglie, per sottrarsi ad un terremoto che avrebbe inghiottito la città, che ora giacerebbe sul fondo del lago di Grandlieu. Per rendere il racconto più conforme alla Bibbia, nella leggenda è detto che la moglie di Romano fu mutata, a causa della sua curiosità, in una statua di pietra.
Dopo simili fatti, per espiare la colpa degli abitanti di Herbauges che egli si addossa, il santo va errando per tutta l’Europa.
La vera storia, secondo quello che se ne può conoscere, è più modesta: come spiegare altrimenti il silenzio di Gregorio di Tours, contemporaneo alle vicende, eppure così avido narratore di fatti meravigliosi, sia sulla distruzione di Herbauges, sia su un tal monastero tanto fiorente? Martino si ritirò a Sud-Est di Nantes, in una regione allora ricoperta di foreste, per condurvi vita eremitica. A lui si unirono alcuni discepoli e quella fu l’origine dell’abbazia di Vertou e poi di quella, più a Sud, di Durin, chiamata in seguito St-Georges-de-Montaigu, nel Bocage vandeano (oggi diocesi di Lucon). La leggenda, a questo punto, forzando la storia, fa riunire a Vertou oltre trecento monaci.
Martino morì a Durin verso la fine del VI secolo, ma i monaci di Vertou si ripresero le sue spoglie e la loro abbazia prosperò fino alle invasioni normanne (878).
I monaci allora si rifugiarono con le reliquie di Martino nella filiale di St-Jouin-de-Mames (Deux-Sèvres), che ereditò il prestigio e i beni di Vertou e la cui chiesa, dell’XI-XII secolo, è uno dei prototipi classici dell’arte romanica del Poitou.
Quando Vertou venne restaurata, lo fu come dipendenza di St-Jouin, con la qualifica di prevostura e nel 1664 la comunità fu incorporata alla Congregazione di San Mauro.
Il ricordo dell’abate Martino è rimasto vivo in Vandea, nel Poitou e nel Nantese, a Sud della Loira: le diocesi di Nantes, Lucon e Poitiers lo festeggiano il 25 ottobre, le parrocchie di Bignon, Campbon, Gorges, Lavau, Mouzillon, Pont-St.-Martin (diocesi di Nantes) e Le Pertu (diocesi di Rennes) lo hanno per patrono.
Nella stessa Vertou, l’altare marmoreo della chiesa ha fama di essere quello di Martino e nel chiostro si vedeva, ancora nel 1700, un albero venerato da tutti i contadini dei dintorni, nonché dai duchi di Bretagna, perché la tradizione affermava che aveva preso radici da un bastone che Martino aveva piantato, prima di partire per Durin. In seguito, tuttavia, l’albero è scomparso. Saint-Jouin-de-Marnes, oltre alla festa del 24 ottobre, celebrava anche una traslazione di Martino, avvenuta nel 1130, con una festa nella seconda domenica di settembre, chiamata «festa delle reliquie».
(Autore: Jean Evenou - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Martino di Vertou, pregate per noi.
*Sante Petronilla e Ponzia - Badesse Premostratensi (24 ottobre)
XII secolo
Gilberto, nobile di Alvernia, prese parte alla crociata organizzata dal re francese Luigi VII nel 1146.
Tornato nel paese natio, dopo l’infelice esito della spedizione, decise insieme a sua moglie Petronilla ed alla figlia Ponzia di abbracciare la vita religiosa.
Fondarono dunque un monastero di donne ad Aubeterre, di cui Petronilla fu badessa sina alla morte.
In seguito le succedette proprio sua figlia Ponzia. Terminano qui le notizie in nostro possesso circa l’esistenza di queste due Sante donne.
Gilberto, loro congiunto, dopo aver vissuto un periodo di tempo come eremita a Neuffonts, eresse un monastero maschile ed un ospedale, ove poté dedicarsi alla cura degli ammalati.
Nel 1151 vestì l’abito premostratense nel monastero di Dilo e poco dopo fece ritorno a Neuffonts con molti conffratelli, che lo elessero loro abate.
Morì il 6 giugno 1152 e da allora operò parecchi miracoli.
Nel 1615 una parte delle sue reliquie fu traslata nel collegio dei Premostratensi a Parigi.
La memoria comune di questa santa famiglia è al 24 ottobre, mentre Gilberto è singolarmente commemorato dal Martirologio Romano nell’anniversario della morte.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Petronilla e Ponzia, pregate per noi.
*San Proclo di Costantinopoli - Vescovo (24 ottobre)
† 446
Difese la maternità divina di Maria, lottò contro l'eresiarca Nestorio e, dopo la deposizione di costui, divenne Patriarca di Costantinopoli.
Martirologio Romano: A Costantinopoli, San Proclo, vescovo, che proclamò coraggiosamente la Beata Maria come Madre di Dio e riportò dall’esilio nella città con solenne processione il corpo di San Giovanni Crisostomo, meritando per questo nel Concilio Ecumenico di Calcedonia l’appellativo di Magno.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Proclo di Costantinopoli, pregate per noi.
*San Senoco - Sacerdote (24 ottobre)
Martirologio Romano:
Presso Tours in Neustria, ora in Francia, San Senóco, sacerdote, che costruì su degli antichi ruderi un monastero e fu assiduo nelle veglie, nella preghiera e nella carità verso gli schiavi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Senoco, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (24 ottobre)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.